La Cassandra Greta e la verità sul clima

Uno scienziato, parte del popolo che nel 2007 vinse il Nobel per le ricerche sul global warming, difende la ragazza svedese a suon di dati. Ci restano 11 anni per dimezzare le emissioni.

ll 15 marzo scorso quasi 2 milioni di studenti di 125 nazioni sono scesi in strada per protestare contro l’inerzia dei governi rispetto alla gravità dei cambiamenti climatici e per chiedere una svolta nelle strategie globali di lotta all’effetto serra, la causa principale del caos climatico. Le proteste dei giovani sono parte del movimento Fridays for Future, nato nell’agosto del 2018, quando Greta Thunberg, quindicenne svedese, iniziò la sua solitaria protesta per il clima contro il governo del suo Paese, armata di un cartello con su scritto “Skolstrejk for Klimatet” (Sciopero per il clima). A distanza di 8 mesi Greta è ora un’icona del movimento giovanile per la giustizia climatica, celebrata in tutto il mondo come un modello di determinazione, ispirazione e azione positiva, mentre il movimento giovanile è descritto come la migliore notizia per il clima da decenni.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha scritto su “The Guardian”: «Stiamo perdendo una corsa contro il tempo per salvare le nostre vite. La finestra delle opportunità si sta progressivamente chiudendo, non abbiamo più il lusso del tempo e il ritardo delle azioni per contrastare il clima può essere pericoloso quanto la stessa negazione dei cambiamenti climatici. La mia generazione non ha risposto correttamente a questa sfida. Questo è profondamente sentito dai giovani. Non c’è da stupirsi quindi che siano angosciati e arrabbiati».

Le reazioni dei leader politici
Purtroppo la reazione dei leader politici non è stata sempre di questo tenore. In Australia, il ministro dell’educazione ha dichiarato: «Gli studenti che scioperano per protestare non sono da incoraggiare». Il suo omologo del Regno Unito ha affermato che l’interruzione ha aumentato il carico di lavoro degli insegnanti ed è servita solo a perdere tempo. Della stessa opinione è stata Theresa May.

In Italia, quasi silenzio dai leader politici. Ad aprire la bocca, ma per disprezzare Greta e i manifestanti, ci hanno pensato alcune testate giornalistiche, solite a trascurare la questione climatica. Un servizio rabberciato su un importante canale televisivo privato ha voluto dimostrare subdolamente che i giovani scesi in piazza ignoravano il fine della protesta. Viceversa, un’indagine del 2019 del Pew Center condotta in 26 Paesi, tra cui l’Italia, dice che la percentuale di giovani che dichiara di essere consapevole e preoccupata del cambiamento climatico è molto maggiore di quella delle persone di età superiore ai 50 anni.

Interessi commerciali
Alcuni politici e giornalisti legati all’industria fossile hanno insinuato che Thunberg sia sostenuta da gruppi ambientalisti o imprese con interessi commerciali nel campo della green economy. Alcuni hanno detto che alcuni imprenditori che per primi hanno twittato sullo sciopero del clima abbiano sfruttato Greta Thunberg per attirare investimenti per le proprie aziende.

In Italia, dopo la grande mobilitazione giovanile, ci sono stati perfino attacchi beceri e volgari sull’aspetto di Thunberg (a cui 5 anni fa furono diagnosticati la sindrome di Asperger e il mutismo selettivo) da parte di intellettuali, giornalisti e personaggi pubblici.

Come si spiega questa ostilità nei confronti della novella Cassandra e dei giovani attivisti? La crescita della loro popolarità segue la crescente preoccupazione degli scienziati sul futuro climatico. A fine 2018 l’Ipcc, la massima autorità scientifica sul clima, ha confermato che in due secoli il pianeta si è riscaldato di 1 °C e che si sta avviando a superare la soglia di un riscaldamento di 1,5° entro il 2030, con effetti devastanti sul sistema climatico: eventi meteo estremi (ondate di calore, siccità, alluvioni, uragani) sempre più catastrofici, frequenti ed estesi; scioglimento dei ghiacciai polari e alpini (e conseguenti impatti sulla disponibilità di acqua, sull’industria e sul turismo); distruzione e degradazione di habitat (in particolare di quelli più vulnerabili, come le barriere coralline e le aree umide); riduzione delle produzioni agricole; estinzione di molte specie animali e vegetali; innalzamento del livello del mare; povertà e migrazioni.

Purtroppo la scienza ci dice che le emissioni di gas-serra continuano a crescere, avendo raggiunto nel 2018 la cifra record di 37 miliardi di tonnellate di C02. Inoltre, anche nell’ipotesi che le misure di riduzione promesse dalle nazioni in base agli Accordi di Parigi siano rispettate, esse saranno insufficienti a tenere l’aumento di temperatura del pianeta sotto i 2°C, come vuole il testo dello stesso Accordo, e il global warming continuerà la sua corsa verso +3°C, spingendo la Terra verso scenari climatici sconosciuti. L’Ipcc sostiene che per evitare la catastrofe i gas-serra devono essere ridotti del 50% entro il 2030 e azzerati entro il 2050. D’ora in poi dovremmo tagliare le emissioni di oltre un miliardo di tonnellate di CO2 l’anno. L’Ipcc dice che occorre agire subito poiché abbiamo una dozzina di anni di tempo per evitare il caos climatico e molte azioni richiedono tempo prima di essere efficaci. Di fronte a questo scenario è necessario aumentare la pressione sulle istituzioni e sui decisori politici come fanno Greta e il movimento degli studenti. Questo spiegherebbe l’ostilità nei loro confronti da parte dei lobbisti del fossile e dei media che da essi dipendono.

I veri responsabili
Il sociologo inglese Kevin MacKay, nel libro “Radical transformation: oligarchy, collapse, and the crisis of civilization” (2017), sostiene che l’oligarchia abbia pesato nel collasso delle civiltà più della complessità sociale o della crescente domanda di energia; essa ostacola il processo decisionale “razionale”, perché gli interessi a breve termine delle élite economiche sono radicalmente diversi dagli interessi di lungo termine della società. Questo spiega perché le civiltà del passato sono crollate «nonostante possedessero il know-how culturale e tecnologico necessario per risolvere le loro crisi».

Le élite economiche, che traggono beneficio dalla “disfunzione sociale”, cercano di bloccare le soluzioni politiche e tecnologiche necessarie. Il controllo da parte di pochi della ricchezza, della politica e dei media spiega il fallimento istituzionale che ora ci spinge verso il disastro ambientale. Ma non sono solo i governi che non hanno risposto. Le emittenti televisive pubbliche hanno interrotto la copertura dei temi ambientali consentendo ai lobbisti del fossile di plasmare il discorso pubblico e negare la crisi climatica e ambientale. Molti accademici e intellettuali, timorosi di turbare i loro finanziatori, si mordono le labbra per non parlare. Persino le istituzioni che affermano di affrontare la nostra situazione rimangono immobili.

Decenni di fallimenti istituzionali assicurano che solo proposte irrealistiche, come quelle che questi giovani invocano, ora hanno una possibilità realistica di fermare la spirale della morte planetaria, come ha detto Jean Monbiot. E solo coloro che stanno fuori da tutte queste istituzioni fallimentari possono guidare questo sforzo. I giovani che scendono in piazza hanno compreso che non possiamo contrastare il caos climatico senza contestare il controllo oligarchico, che la lotta per la democrazia e la giustizia e la lotta contro il degrado ambientale sono la stessa cosa (giustizia climatica) e che non intendono lasciare nelle mani di coloro che hanno causato questa crisi il compito di definire il contesto e i limiti dell’azione politica, di dirci cosa può e non può essere fatto.

 

Ricercatore salentino di nascita, ecologo e saggista, Lorenzo Ciccarese svolge ricerche e analisi sui grandi temi ambientali, tra cui cambiamenti climatici, biodiversità e foreste.

Premio Nobel è stato autore e revisore di vari rapporti dell’intergovernmental Panel on Climate Change (Premio Nobel per la Pace nel 2007), della World Meteorological Organization e dell’United Nations Environment Programme. Ha svolto consulenze per l’Ue.